Il libro di Rosetti: Nessuno parla dell'arbitro

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La storia
Rosetti e una vita da arbitro
eterna partita contro l'errore
27 anni di carriera in un libro, tra finali e fantasmi: ''Ho cominciato da adolescente, vorrei far capire la figura dell'arbitro: le poche certezze insieme al dovere di decidere sempre, comunque e alla svelta''
di MAURIZIO CROSETTI

Rosetti e una vita da arbitro eterna partita contro l'errore Roberto Rosetti, al centro nella foto
Quando nessuno parla dell'arbitro vuol dire che l'arbitro è stato quasi perfetto, dunque invisibile. Proprio così s'intitola il libro scritto da Roberto Rosetti con Emiliano Poddi, Nessuno parla dell'arbitro (Add Editore, pp. 192, euro 15), in libreria da martedì prossimo. Stavolta, però, la notizia è che l'arbitro - lui sì - parla, e parla tantissimo: racconta storie remote e mai dimenticate, campetti di periferia, esordi bizzarri, problemi di varia natura, tifosi avversari inferociti che lo rincorrono come nelle barzellette, e poi i gradini di una carriera che l'ha portato fin lassù, a dirigere una finale dell'Europeo (2008) e i mondiali in Sudafrica. Dove il fantasma dell'errore, cioè il primo nemico di ogni arbitro, si è materializzato cambiando il finale della storia. Un fuorigioco non visto, e tutto si ribalta.

"All'inizio è stato terribile", ammette Rosetti. "Poi ho capito che ogni sbaglio è un'opportunità. Mi piacerebbe che il mio libro aiutasse a capire meglio la figura dell'arbitro, le sue poche certezze insieme al dovere di decidere sempre, comunque e alla svelta. Ho arbitrato per 27 anni, quando ho comiciato ne avevo 16, ho realizzato un sogno perché la mia passione è diventata la mia professione: questo e non altro, per me, è il vero significato della parola successo". E adesso Rosetti fa il designatore arbitrale in Russia: "Un'avventura enorme, anche famigliare, per mia moglie e le mie due bambine che hanno 6 e 11 anni, una grande opportunità di crescita. L'impatto è stato duro, ma ora sono molto soddisfatto".

Dell'arbitro parliamo tutti, parliamo sempre (il titolo del libro significa paradossalmente anche questo, rovesciando il concetto), ma cosa sappiamo veramente di lui? Quale tipo di scintilla si accende, un bel giorno, perché un ragazzo scelga il fischietto invece del pallone? L'arbitro, di solito, è muto, più per regolamento che per scelta. Roberto Rosetti parla perché è un ex: ha smesso proprio dopo quel mondiale sfortunato, per colpa di un evidentissimo fuorigioco durante Messico-Argentina (gol di Tevez, irregolare) che però lui non vide. Ecco, l'errore diventa il filo narrativo dell'intero libro, come un'azione rallentata e fatale che contiene tutte le altre. Intorno all'evento si sviluppa la psicologia dell'arbitro, uomo solo. Rosetti e Poddi sono molto abili nel raccontare l'"elaborazione del lutto", il trauma, i fotogrammi del fuorigioco non visto e tutto quanto ne seguì.

Davvero belle le pagine che mostrano Rosetti in vacanza al mare, dopo la sua ultima sventurata partita: lui che nelle sagome degli ombrelloni rivede le ombre sul campo, i settori del prato con Tevez oltre l'ultimo difensore; e quando il bagnino richiama con un trillo i ragazzini che stanno in acqua, nella linea immaginaria tra le boe affiora di nuovo lo spettro di un offside. Mica facile uscirne. Così, nell'ossessione di un verdetto sbagliato ("Non ho visto, succede"), il libro diventa qualcos'altro, non solo una storia di calcio e arbitraggio. Si trasforma in una specie di trattato sull'errore, sulle sue conseguenze, su come siamo o non siamo pronti ad affrontarlo. Eppure, se dentro lo sbaglio c'è un senso, e ci deve pur essere, va cercato nel dopo, nel come la vita continua e talvolta migliora. L'errore, ci dice l'arbitro, non è un male incurabile. È una possibilità da superare.

(18 novembre 2011) © Riproduzione riservata

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