[G] Album Consigliatissimo : Sebastian Hardie : Four Moments

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Tarquet
00sabato 20 agosto 2005 11:02
Track list:

1. Four Moments
2. Dawn of our Sun
3. Journey Through Our Dreams
4. Everything Is Real
5. Rosanna
6. Openings




Il prog degli antipodi (Vers. stampabile )

Avviso per i fanatici amanti di Genesis e Camel: se avete ormai racimolato tutto ciò il reperibile sul globo terracqueo di Gabriel e Collins e di Latimer avete persino le ciocche di capelli, la vostra sete potrebbe essere placata dagli australiani Sebastian Hardie.
“Four moments”, pubblicato nel 1975 e ristampato da Musea venticinque anni dopo, rappresenta il primo esempio di rock sinfonico in Australia, paese musicalmente legato più all’aussie rock, squadrato e “plebeo”, di AC/DC, Rose Tattoo e Midnight Oil che alle delicate e signorili rifiniture hackettiane.
La band fu fondata dal chitarrista/vocalist Mario Millo (di origini triestine), il quale, dopo aver messo su un quartetto con la coppia ritmica Peter e Alex Plavsic ed il tastierista Toivo Pilt, entra in studio per dare avvio a delle brevissime sessioni di registrazione. L’album fu infatti registrato e mixato in soli sei giorni, su ammissione della stessa band una sorta di “live in studio” (eccettuati vocals e alcuni solos), proprio allo scopo di catturare l’essenza emotiva di quei brani.
L’album, composto da una suite più due brani, si incentra su un’unica e suggestiva idea, una fascinosa (anche se a tratti imbarazzante…) “clonazione” latimeriana, con forti richiami Yes/Genesis: pur avendo una paternità non originale, risulta comunque, anche a molti anni di distanza, piacevole e di scorrevole ascolto.
La suite omonima si dipana tra aperture sinfoniche maestose e gonfie (“Glories shall be released”), accenni mistici alla Jon Anderson (“Dawn of our sun”), lunghi e drammatici guitar solos (“Journey through our dreams”), cadenze ritmiche molto marcate, vocals e cori delicati e positivi, ariose sezioni di mellotron ed hammond, coinvolgenti temi di moog (“Everything is real”).
In sintesi si tratta di una costruzione pomposa ed enfatica ma non estremamente complessa, molto accessibile ed emotivamente trascinante. C’è l’armamentario tipico del prog più leggero e romantico, poco innovativo anche nel ’75 ma tutto sommato gradevole.
“Rosanna” è un brano breve ma intenso e magnetico, costruito su un accattivante e mutevole tema di chitarra nella tipica tradizione cameliana, ricco di continui crescendo e bucoliche meditazioni. Un gioiellino.
Gran finale con la lunga e serena “Openings”, il pezzo che evidenzia di più l’atmosfera speciale di quelle sessions: un brano sognante, ancora dominato da Millo, con un hammond liquido e ben presente in passaggi fiabeschi; la chitarra guida, si scambia il ruolo con il mellotron e “gonfia” il brano fino alla scatenata esplosione finale. Un po’ ripetitiva ma da scompenso cardiaco per chi custodisce in cassaforte la propria copia di “Moonmadness”.
In conclusione ci troviamo a che fare con un piccolo classico del prog più sinfonico e romantico, spesso richiamato come esempio di ispirata clonazione, derivativo ma affascinante.
Millo e i suoi proseguiranno in modo più controverso: dopo “Windchase” passeranno per la nuova incarnazione dei sinfonici Windchase. Il riccioluto chitarrista darà poi vita ad una lunga serie di lavori solisti, fedeli all’impostazione degli esordi, dalla fine degli anni ’70 ai giorni nostri, con l’ausilio della sua Red Moon.
Ricordo anche che gli Hardie si riformeranno, in modo alquanto effimero con la line-up originaria, per partecipare al Progfest losangeleno del 1994, performance poi testimoniata nel “Live in LA”.
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