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La camorra nel 1862

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2012 15:14
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09/12/2012 12:52
 
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Efficacissima descrizione di Dumas che presenta l'enorme potere della camorra già dopo la cacciata dei Borbone.

da REPUBBLICA.IT

Viene da pensare che sia davvero ormai impossibile estirpare questo fenomeno economico-sociale che prolifera da diverse generazioni, anche grazie a chi troppe volte ha pensato di poter meglio gestire il proprio potere scendendo a patti con loro .


Arrivò a Napoli con il suo amico, il generale Garibaldi. Raccontò le gesta dei Mille e quelle degli odiati Borbone. Ma dell'autore de "I tre moschettieri" non si conoscevano questi testi contro "la società segreta a cui non sfugge niente" e che controlla popolo e polizia. Ora vengono pubblicati in Italia e sembrano storia di oggi
di ALEXANDRE DUMAS

INCHIESTA
I precari della Camorra
Cari lettori, Chi sono i camorristi? mi domanderete. I membri della camorra. Cos'è la camorra? Se foste a Napoli, vi risponderei semplicemente: la camorra è la camorra. Ma siete in Francia, e devo cercare di dirvi cosa essa sia.... La camorra è una specie di società segreta che, come tutte le società segrete, ha finito per diventare una società pubblica... La camorra è l'impunità del furto e dell'omicidio, l'organizzazione dell'ozio, la remunerazione del male, la glorificazione del crimine. La camorra è il solo potere reale al quale Napoli obbedisca. Ferdinando II, Francesco II, Garibaldi, Farini, Nigra, Cialdini, San Martino, La Marmora, tutti costoro non sono che il potere visibile: il vero potere è quello nascosto, la camorra.

Ogni prefetto di polizia che cerchi di agire a Napoli senza la camorra è condannato in anticipo a cadere nell'arco di quindici giorni: negli ultimi quindici mesi, Napoli ha avuto dieci prefetti di polizia e sette luogotenenti generali. Ma quanti camorristi ci sono a Napoli? mi domanderete. È come chiedere quanti ciottoli ci sono sulla spiaggia di Dieppe. Dire da quindici a trentamila non è dir troppo. Da quali segni visibili li si riconosce? Dai loro abiti di velluto a colori sgargianti, dalla loro cravatta chiara, dalle catene degli orologi incrociate in tutti i sensi sul panciotto cangiante, dalle loro dita cariche di anelli fino all'ultima falange, e dai lunghi bastoni di rattan. Il camorrista un po' agiato presta su pegno alla giornata. Tutte quelle catene, quegli anelli, quei gioielli che gli brillano addosso, sono pegni che restituisce lealmente se il prestito gli viene puntualmente restituito nel giorno stabilito, ma che trattiene se il debitore ritarda. Il camorrista è un monte di pietà vivente. [...]

La camorra, come la Santa Vehme tedesca, ha un proprio tribunale invisibile che giudica e condanna, sia gli stranieri che potrebbero nuocerle, sia i propri membri che non mantengono gli impegni presi al momento della loro iniziazione. Ha tre gradi di punizione: la bastonata, lo sfregio o colpo di rasoio, la coltellata. Con la bastonata si è costretti a letto per quindici giorni, con lo sfregio si resta segnati a vita; la coltellata uccide. Nelle nostre antiche commedie si dice per ridere: "Ti darò una scarica di bastonate", e non le si danno mai. Nelle province meridionali, lo scherzo è più lugubre; dicono: "Ti darò una coltellata", e la danno. A Napoli, l'omicidio è un semplice gesto. E non è stato mai punito con la morte: il boia rovinerebbe la municipalità.
Napoli, 14 marzo 1862

Diamo ora un'idea dell'estensione che ha preso la camorra. Salite su una vettura a noleggio; un uomo che non conoscete e che sembra un amico del cocchiere sale a cassetta con lui. È un camorrista. Il cocchiere gli deve e gli darà il decimo di quanto riceverà da voi, senza essersi dato altra pena che quella di farsi portare in giro sedendo a cassetta, mentre voi vi fate portare in giro in carrozza. Un venditore di frutta entra a Napoli; un camorrista lo aspetta alla barriera, compra la frutta e la valuta: il venditore di meloni, di fichi, di pesche, di pere, di mele o d'uva gli deve il decimo del valore stimato. Napoli, che fece una rivoluzione con Masaniello per non pagare la tassa imposta dal duca d'Arcos sulla frutta, non ha mai pensato di rivoltarsi contro i camorristi [...].

La camorra preleva un diritto su ogni cosa: sulle barche, sulle merci alla dogana, sulle fabbriche, sui caffè, sulle case di tolleranza, sui giochi di carte. Oggi che ci sono i giornali, i suoi diritti si estendono anche a quelli. A Napoli cento chioschi sono rimasti sfitti perché il proprietario non ha potuto mettersi d'accordo con i camorristi: nessuno osa affittare. Alla camorra non sfugge niente, e tuttavia, qual è il re che le ha concesso questa facoltà? Nessuno. [...]
Napoli, 18 marzo 1862

Il denaro della camorra serve anzitutto: a pagare la polizia che la protegge; poi gli ufficiali superiori della camorra che stanno in galera; i capi, secondo il grado che occupano; e prima di tutti, immediatamente dopo la polizia, il generale che riceve quattro parti; i capi camorristi di tutti i quartieri ricevono due parti; i camorristi comuni una parte. L'apprendista camorrista riceve, invece che un grano per carlino, un grano per ducato, finché non viene nominato camorrista proprietario. Ma per arrivare a questo brevetto d'onore deve sottoporsi a una prova. Deve battersi al coltello con il capo. Se questi rimane contento di lui nel duello, scrive al generale che il tal camorrista è degno della sua benevolenza e che crede di poterglielo presentare come meritevole del titolo di camorrista proprietario. Il generale, a seguito di questa presentazione, scrive ai capi del quartiere al quale appartiene l'apprendista camorrista: "Potete accettare come camorrista il tale...".

Il giorno in cui l'apprendista è accolto come camorrista proprietario è obbligato a prestare giuramento in presenza di tutta la società. Dopo tutti i camorristi mettono mano ai coltelli, li pongono in croce sopra un crocifisso e dichiarano che chiunque tradirà la camorra sarà messo a morte, senza che la polizia abbia nulla da ridire. Fatto il giuramento, fatta quella minaccia, tutti si abbracciano e vanno a pranzo insieme: ma, dal momento che queste assemblee riuniscono solitamente almeno tremila persone, il nuovo camorrista è ammesso al tavolo dei capi immediatamente dopo il generale, gli altri si sparpagliano nella campagna.

L'indomani dell'ammissione il camorrista va presso il commissario del quartiere e, presentatosi a lui, pronuncia le seguenti parole di rito: "Ecco un nuovo operaio che ha ricevuto la proprietà". Quindi il nuovo camorrista dà dieci piastre al commissario del quartiere. Da parte sua il commissario del quartiere avvisa il prefetto di polizia che nel quartiere è stata fatta una nuova nomina. La camorra, per assicurare al nuovo camorrista la protezione del prefetto di polizia, gli dona entro un mese una polizza di cento ducati.
Napoli, 21 marzo 1862
Traduzione David Scaffei. © 2012 Donzelli editore, Roma













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09/12/2012 20:41
 
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occhio alla pelle, Valè [SM=g1439199]
[Modificato da simonss 09/12/2012 20:43]









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10/12/2012 12:19
 
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per generazioni si è fatta anche la tratta di schiavi, poi fortunatamente l uomo si è un minimo evoluto e "quasi" nn esistono più!

il fenomeno camorra o mafia è un qualcosa che è nato e doveva morire, ma evidenemente fa economia, c'è bisogno della camorra/mafia quindi vive ancora, il male nn è concentrato in un luogo specifico dell italia o del mondo, è un focolaio che viene alimentato soprattutto da chi è intorno ad esso, altrimenti con tanto impegno e decisione verrebbe sconfitto in poco tempo.


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10/12/2012 16:48
 
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topic sulla scoperta dell'acqua calda... la camorra e la mafia CI GOVERNANO, e intendo l'italia INTERA







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12/12/2012 15:14
 
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ho studiato approfonditamente per anni il risorgimento, il vero potere della camorra è iniziato proprio con l'unità d'italia, ne parlavamo già nel topic sul (falso) risorgimento che nessuno s'è cagato

ai savoia faceva comodo un "appoggio" e decisero a tavolino di dare potere alla camorra (che già esisteva ovviamente ma non aveva molto potere)... ci sono le fonti eh, nomi cognomi date e luoghi

Liborio Romano, ministro del Regno delle Due Sicilie nonchè uno dei suoi massimi traditori, ebbe un ruolo fondamentale in questo

copincollo da wikipedia



Nonostante le sue idee, nel 1860, mentre con la spedizione dei Mille si apriva la fase finale del regno delle Due Sicilie, Liborio Romano venne nominato dal re Francesco II prefetto di Polizia.
Il 14 luglio dello stesso anno il Romano divenne anche ministro dell'interno e direttore di polizia. In tale difficile fase, mentre l'Esercito meridionale cominciava a risalire la penisola, Romano iniziò a prendere contatti segreti con Camillo Benso conte di Cavour e con Giuseppe Garibaldi per favorire il passaggio del Mezzogiorno dai Borbone ai Savoia.
Fu lo stesso Liborio Romano a spingere il re Francesco II di Borbone a lasciare Napoli alla volta di Gaeta senza opporre resistenza, per evitare sommosse e perdite di vite umane. Il giorno dopo, il 7 settembre 1860, andò a ricevere Giuseppe Garibaldi, che giungeva a Napoli quasi senza scorta, direttamente in treno, senza che vi fosse alcun tipo di contrasto e accolto da festeggiamenti di piazza[1].


L'ingresso di Garibaldi a Napoli, il 7 settembre 1860, nell'attuale Piazza 7 settembre.
Risale anche a questo periodo il suo coinvolgimento con la camorra napoletana, «in virtù della sua organizzazione e del suo potere di controllo territoriale»[2]. Il Romano, infatti, nonostante il suo ruolo, assegnò al capo indiscusso della camorra di allora, tal Salvatore De Crescenzo[3] detto “Tore ‘e Crescienzo” e ai suoi affiliati, il compito del mantenimento dell'ordine pubblico nella capitale e di favorire l'ingresso in città di Garibaldi[4], invitandoli ad entrare nella "Guardia cittadina", in cambio dell'amnistia incondizionata, di uno stipendio governativo e un "ruolo" pubblicamente riconosciuto[5]. Eventi che portarono il De Crescenzo ad essere considerato come "il più potente dei camorristi"[6].
Così scriveva nel 1868 lo storico Giacinto De Sivo: «La rivoltura del '60 si dirà de' Camorristi, perché da questi goduta. [...] Il Comitato d'Ordine comandò s'abbattessero i Commissariati di polizia; e die' anzi prescritte le ore da durare il disordine. Camorristi e baldracche con coltelli, stochi, pistole e fucili correan le vie gridando Italia, Vittorio e Garibaldi […]. Seguitavanli monelli e paltonieri, per buscar qualcosa, gridando: Mora la polizia! Assalgono i Commissariati»[7].
In divisa, armati e con coccarda rossa, il De Crescenzo e i suoi uomini ebbero anche l'incarico di supervisionare il plebiscito di annessione, vigilando le urne a voto palese (21 ottobre 1860)[8]. Secondo la testimonianza di Giuseppe Buttà, cappellano militare dell'esercito borbonico, «Dopo il Plebiscito, le violenze de' camorristi e dei garibaldini non ebbero più limiti: la gente onesta e pacifica non era più sicura né delle sue sostanze, né della vita, né dell'ordine […]. I camorristi padroni di ogni cosa viaggiavano gratis sulle ferrovie allora dello Stato, recando la corruzione e lo spavento nei paesi vicini.»[9].
Scriveva, a tal proposito, lo stesso Romano nelle sue Memorie: «Fra tutti gli espedienti che si offrivano alla mia mente agitata per la gravezza del caso, un solo parsemi, se non di certa, almeno probabile riuscita; e lo tentai. Pensai prevenire le tristi opere dei camorristi, offrendo ai più influenti loro capi un mezzo di riabilitarsi; e così parsemi toglierli al partito del disordine, o almeno paralizzarne le tristi tendenze»[10]. Fu creata, così, una «specie di guardia di pubblica sicurezza», tra i suoi membri c'erano i camorristi organizzati in compagnie e pattuglie, per controllare tutti i quartieri della capitale[11][12].

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