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[PS4/PS5]Horizon zero forbidden west.

Ultimo Aggiornamento: 23/03/2022 10:27
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11/03/2022 14:39
 
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Si lo so,direte che palle è il seguito del gioco del distruggere i robottoni in mezzo alla giungla..Allora intanto il gioco è stupendo,visi stupendi doppiaggio allucinante e grafica spaccamascella..E io lo ho su pro mi immagino cosa sia su Ps5. Perché alla fine cosa c'è di meglio di volare sulla West Coast a cavallo di un Solcasole?



Horizon Forbidden West espande, migliora, e rende più complessi tutti gli aspetti di Horizon Zero Dawn .
Guerrilla Games conferma la capacità di riuscire a creare open world enormi concentrandosi sul gameplay. Il risultato è divertente, interessante e coinvolgente, ma anche narrativamente i passi avanti ci sono.
Bellissimo da vedere e costruito con una cura per i dettagli sensoriali stratosferica, tecnicamente non è perfetto, e offre il fianco a qualche bug di troppo e un fenomeno di clipping ogni tanto fastidioso.
“I ricordi tornano sempre. Quelli importanti, almeno”. Questa frase la dice Varl ad Aloy, in una delle svolte narrative che cambia lo stato del mondo di Horizon: Forbidden West. Questa frase mi è venuta in mente alla fine del viaggio, seduto su un terrazzamento di uno dei miei insediamenti preferiti, Segnamarea, che si affaccia sulla baia di San Francisco e dove puoi sentire quasi l’odore del mare e il soffio del vento. È solo lì che mi sono accorto che, proprio come il primo capitolo dell’odissea di Aloy, anche questo seguito mi ha lasciato ricordi intensi, oserei dire veri, concreti. Li ha costruiti, piano piano, intrufolandosi sottopelle, tracciando immagini che restano, regalando momenti di quelli che sei felice di aver vissuto, di quelli che poi ti dici wow. Ricordi importanti, direbbe Varl, ricordi stratificati, aggiungo io, proprio come il mondo costruito da Guerrilla Games.

Horizon Forbidden West è un oggetto complesso, inscindibile dalla sua natura di videogioco, perché proprio come Zero Dawn al centro di tutto mette la costruzione delle motivazioni di chi, controller alla mano, è chiamato a vivere un’avventura che sa di viaggio e scoperta, trasformando in senso ogni azione della protagonista, ogni missione che svolge, ogni legame che stringe. È un oggetto complesso perché è profondamente ambizioso nell’immaginare e puntellare un’esperienza enorme, che ha l’ossessione della coerenza, dei collegamenti, del mettere insieme, appunto, significanti e significati di ogni occorrenza di una post post apocalisse che, in realtà, è un riflesso senza tempo della civiltà occidentale. E no, non ho usato il verbo immaginare a caso, perché il merito più grande del seguito di Zero Dawn è quello di interrogarsi proprio sul modo in cui pensiamo al nostro mondo, sul come lasciamo una traccia, sulla maniera in cui identifichiamo il nostro lascito senza dimenticarsi (quasi) mai di trasformare queste domande, queste suggestioni, in qualcosa che si può vedere, toccare, giocare, percepire vagando in un’ambientazione che ha i connotati di un luna park, certamente, ma che è pensata per evolversi intorno al gameplay, per raccontarsi, per svelarsi.






La grandezza di Horizon Forbidden West è nel modo in cui cerca una strada per costruire i ricordi, non tanto attraverso la potenza e l’originalità della scrittura, ma affidandosi all’eloquenza di una messa in scena al servizio dell’esplorazione, dei combattimenti, dell’azione e dell’avventura nel senso più puro del termine. La coerenza che cerca, Guerrilla Games la trova nel modo in cui, alla fine, usa il linguaggio dei videogiochi per completare un discorso iniziato cinque anni fa. Nello stesso dialogo con Varl, Aloy dice che “cambiare è difficile, ma col tempo migliora”. Ed è vero: ancora più di Zero Dawn, Forbidden West è un’avventura che cresce nel tempo, che fa del cambiamento e della trasformazione la sua cifra, che si tuffa nell’immaginario mitico della cultura occidentale per metterne in gioco, nel vero senso del termine, vizi e virtù, idiosincrasie e speranze, in un viaggio da est verso ovest che richiama alla mente la conquista della frontiera, ma anche la prima civilizzazione e una sua allegorica rinascita. Un vento che parte dalla terra e arriva al mare, inarrestabile, come una guerriera Nora dai capelli rossi e dallo sguardo fiero. Sessantacinque ore dopo, a Segnamarea, non ci sono solo ricordi, ma anche soddisfazione, un sorriso e la consapevolezza che quel vento di cambiamento è passato per il mio DualSense.

Rischi e opportunità
Horizon Forbidden West inizia sei mesi dopo la fine di Zero Dawn per continuare a raccontare il viaggio di Aloy, dopo aver liberato la Conquista e l’Est dalla minaccia delle macchine, alla ricerca di un modo per completare l’opera e il sogno di Elisabet Sobeck (per il riassunto delle puntate precedenti, c’è questo speciale qui) e, insomma, sfruttare i prodigi tecnologici del XXI secolo per permettere all’umanità di trovare un nuovo equilibrio. Essere un sequel diretto rappresentava, per Guerrilla Games un rischio e un’opportunità. Da un lato, infatti, a cinque anni di distanza, a cavallo di due generazioni, è lecito che Forbidden West parli a un pubblico parzialmente nuovo, che, dunque, ha bisogno di essere portato all’interno di un immaginario che ha la sua complessità. Dall’altro, invece, c’è chi invece questo viaggio l’ha vissuto dall’inizio, che sogna di andare verso occidente per ampliare e approfondire un discorso evidentemente non ancora concluso.



Come fare a trovare una quadra per risultare interessante all’intero pubblico? Come trovare una giusta dimensione tra familiarità e originalità? Lo studio olandese, in questo, non ha cercato di aggirare il problema e, anzi, si è mosso proprio lungo una traccia al confine tra i rischi e, appunto, le opportunità. Per farlo, ha messo allo specchio Horizon Zero Dawn ed è partito dalla sua immagine riflessa. Se il primo capitolo della storia di Aloy raccontava un percorso prima di tutto personale alla ricerca della consapevolezza e della conoscenza, un viaggio nella memoria del passato per cercare la sua identità presente, in questo seguito il cammino verso occidente diventa allegoria della condivisione, della necessità di trasmettere agli altri, della decostruzione, o meglio, dalla trasformazione del concetto di eletta in quello di eroina. Da personaggio che è nato per una funzione specifico a simbolo di un’identità condivisa, che agisce perché, in quella visione collettiva, ci crede.

Questa che sembra soltanto una cifra di scrittura, in realtà, è un’asse portante sia della struttura, sia del design del gioco. Guerrilla Games parte dal presupposto che no, nei videogiochi non c’è mai sovrapposizione completa e assoluta tra utente e protagonista, quando questo ha un suo volto e una sua storia. Noi, insomma, non siamo sempre Aloy, ma siamo anche Aloy, dal punto di vista delle motivazioni e dei pensieri. Siamo, prima di tutto, lì per testimoniare le sue gesta e partecipare alla sua avventura, e come tale, l’unico modo per allineare la visione di chi ha giocato il primo capitolo e chi no è coinvolgere altri personaggi, è far diventare Aloy voce narrante. Se Zero Dawn, inizialmente, arrancava un po’ nel rendere il racconto appassionante, Forbidden West è brillante ed elegante nel modo in cui ci lascia scivolare tra la pieghe della storia, perché guarda al suo mondo con tanti occhi diversi, pur mantenendo lo sguardo fisso sulla sua protagonista. Aloy, nelle prime ore di gioco, si trova a fare i conti con un mondo che, nei sei mesi dalla battaglia di Meridiana, è cambiato, e le conseguenze delle sue azioni hanno avuto un impatto sulla vita di tutti, nel bene e nel male. Un riflesso, dicevo, di Zero Dawn, nel modo in cui la protagonista deve scendere a patti con se stessa e con le aspettative del mondo che la circonda: coloro che non possono vedere le cose come le vede lei. Nelle prime ore di gioco, Aloy dona a Varl il focus, la sua “seconda visione”, come la chiamano gli altri, e in quel gesto c’è la chiave di lettura dell’intera vicenda. Per immaginare un nuovo mondo, insomma, c’è bisogno di tutti.


Sebbene la struttura di gioco resti quella di un action adventure open world in cui il focus è sulla singola protagonista, l’idea di introdurre saltuari compagni di viaggio riesce a trasformare il racconto in corale, e dare un respiro più ampio all’intera storia. Una soluzione, dicevo, che non riguarda solo la scrittura, ma che ha un risvolto importante dal punto di vista del gameplay: dopo il primo atto, infatti, del suo viaggio verso l’Ovest Proibito, Aloy avrà una base operativa da cui provare a ricostruire GAIA, l’intelligenza artificiale di terraformazione in grado di guarire il pianeta dalla piaga rossa, una strana malattia del suolo che sta divorando la vita sulla Terra, e riportare all’ordine definitivamente le macchine, per ripristinare una biosfera più incline alla vita degli esseri umani. In questa base non sarà sola, ma nel corso dell’avventura ospiterà diversi compagni e compagne di viaggio a cui sono collegate linee narrative e intere quest. In alcune di esse ci seguiranno sul campo di battaglia, ma la realtà è che la loro presenza e la loro percezione basta a rendere l’atmosfera più coinvolgente. Ogni ritorno alla base vuol dire scoprire qualcosa di nuovo, dettagli supplementari sullo stato del mondo e sulle conseguenze di quello che facciamo.

La soluzione adottata da Guerrilla Games, per carità, non è del tutto originale, e affonda nella tradizione che risale all’accampamento del gruppo di Dragon Age: Origins o a Monteriggioni in Assassin's Creed 2, ma il modo in cui costruisce lo sviluppo narrativo intorno alla presenza di una base e alla ricerca delle varie subfunzioni di GAIA permette allo studio olandese di mettere in pratica la sua ambizione più grande. Cambiare la percezione del tempo e dello spazio all’interno di un open world strutturato come un luna park. Poco dopo aver inaugurato la base, è l’intelligenza artificiale stessa a dire ad Aloy che l’operazione di conquista dell’Ovest Proibito richiederà mesi e che servirà tutto l’aiuto possibile. La frattura del senso di urgenza che rompe, spesso, la sospensione di incredulità negli open world in stile Assassin's Creed, in Forbidden West viene in un certo senso assorbita narrativamente, mentre dall’altro lato, la sensazione di essere in un mondo che cambia davvero è assicurata da una serie di eventi, a volte anche connessi a quest secondarie, che hanno ben più di un mero impatto scenico sull’ambientazione.
Nel corso dell’avventura, per esempio, la natura di alcuni insediamenti cambia radicalmente, anche morfologicamente, e alcuni personaggi viaggiano perseguendo i propri scopi.


L'arrivo a Cantopuro, ovvero uno di quei momenti in cui non puoi far altro che stare lì in contemplazione per venti minuti.
Tutto questo, nonostante la storia raccontata sia sostanzialmente lineare e no, non ci sia nessuna ambizione di costruire un mondo vivo nel senso di emergente e autosufficiente. Piuttosto, quello di Guerrilla Games è un teatro sconfinato che cambia spesso e volentieri scenografia, è un palcoscenico i cui fondali e la cui struttura diventano sempre più complessi e particolareggiati nel corso del tempo e dove tutti i meccanismi funzionano all’unisono, con impressionante precisione. Anche le classiche frasi di circostanza dei PNG si adattano al contesto e reagiscono non tanto alle scelte di Aloy - che ci sono, poche, e servono più che altro a dare colore al racconto - quanto allo stato del mondo. Preparatevi, dunque, a incontrare facce amiche (o nemiche) in momenti diversi della storia, o a tornare negli insediamenti per sapere come è andata a finire la vicenda di questo o quel personaggio. A volte si tratta di momenti di frivolezza, a volte dell’inizio di un nuovo capitolo, ma, insomma, l’open world di Forbidden West non è solo uno scenario di cartapesta finemente modellato, ma è come le macchine che lo abitano: una sorta di organismo biomeccanico che reagisce e si adatta al passaggio di Aloy.

Anche le attività secondarie sono presentate così: l’Arena dove sfidare le macchine arriva alla fine di una quest che cambia radicalmente una zona del mondo, così come i classici avamposti e campi ribelli ci vengono indicati attraverso le dicerie, che sono, forse, l’esempio più interessante di narrazione ambientale sfruttata ai fini di gameplay. Di tanto in tanto, infatti, accanto ai falò, punti di salvataggio e viaggio rapido che costituiscono, di fatto, la rete stradale del mondo, ci sono PNG che raccontano cosa sta succedendo altrove, o gli echi delle gesta di Aloy e dei suoi compagni, rivelandoci la presenza di minacce, risorse e luoghi potenzialmente interessanti. Pur senza discostarsi in maniera particolare dai canoni dell’open world dal “gameplay delle attrazioni”, Guerrilla ha costruito un mondo di gioco dove tutti gli elementi che lo compongono comunicano in maniera armonica e funzionano da garanti di un’esperienza che è, prima di tutto, divertente e appagante.

Un mondo di cose da fare


Uno degli aspetti più riusciti di Horizon Forbidden West è il modo in cui, all'interno di un mondo grande e denso di avvenimenti, riesce a integrare con coerenza una serie di attività secondarie che, per quanto facoltative, risultano davvero parte del mondo. Oltre alle missioni secondarie, che hanno un peso narrativo piuttosto importante, ci sono le commissioni, con cui Guerrilla riesce a dare un minimo di sprint a quel corpus piuttosto malmostoso di fetch quest e affini. In realtà gli incarichi di recupero esistono, e si dividono in due tipologie: quelli che ci affibbiamo da soli, dal banco di creazione degli oggetti, per recuperare le risorse che servono per il crafting di oggetti, e quelli dei contratti di recupero, una serie di quest narrative che hanno come obiettivo la ricerca di materiali preziosi.

Chi preferisce il combattimento può, invece, dilettarsi nei Terreni di caccia, ovvero le sfide a tempo dove è tutta una questione di rapidità, efficacia e uso accurato delle trappole, nelle Fosse da mischia, dove invece a ricevere una bordata di violenza sono campioni umani e, infine, l'Arena, una sorta di sfida gladiatoria tra Aloy e macchine piuttosto feroci. Le tre tipologie di sfide consentono di accumulare medaglie da scambiare, proprio nell'Arena, con oggetti molto rari o, addirittura, leggendari. Chi, invece, ha nostalgia di liberare degli avamposti, può dedicarsi ai campi e alle fortezze ribelli dispensando morte e distruzione on demand. Chi ama l'esplorazione, invece, può dilettarsi nella ricerca di reliquie nelle rovine dei precursori (ovvero punti di interesse del XXI secolo), la scalata dei Collilunghi per sincronizzare la mappa, la conquista di nuovi Override per dominare le macchine nei Calderoni (veri e propri dungeon), ma c'è spazio anche per le gare a cavallo di macchine (bellissime) e quattro tipologie di collezionabili diversi, che oltre a fornire pezzi di lore piuttosto gustosi, si possono scambiare con oggetti rari.

Infine, in puro stile Gwent o Triple Triad, anche Horizon Forbidden West ha il suo minigioco (quasi) indipendente: Batosta Meccanica, un incrocio tra dama, scacchi e un gioco di strategica con miniature in stile Heroscape di cui vanno matti in tutto l'Ovest Proibito e di cui non mi sorprenderei possa arrivare una versione stand alone, tanto funziona bene.

Un racconto di frontiera e rinascita
Se la struttura dell’avventura costituisce lo scenario dove quei ricordi importanti prendono vita, di che materia sono fatti quei ricordi? Anche in questo caso, è il world building di Guerrilla Games a fornirci una possibile risposta, concreta, pragmatica, percepibile controller alla mano. Lo fa tirando in mezzo l’archeologia e stratificando tanto le ambientazioni, tanto quanto l’esperienza di gioco. Esistono tre livelli nel mondo di Forbidden West: il primo è l’esplorazione diretta dell’ambiente aperto; il secondo è rappresentato dalle istanze, come i Calderoni (alcuni “dungeon” dove vengono create le macchine) e tutti quei luoghi che ci portano nelle profondità di un mondo in cui risuonano gli echi di mille anni di storia (ovvero della seconda metà del XXI secolo); il terzo è rappresentato dagli abissi marini e fluviali, che fanno il loro debutto in questo seguito regalando una nuova prospettiva, limitata all’esplorazione, ma comunque efficace. Quando queste tre dimensioni dialogano, o si alternano, e lo fanno spesso, diventano più efficaci di tutti i documenti, le registrazioni e gli elementi di lore che si incontrano durante l’avventura.

L’Ovest degli Stati Uniti immaginato da Guerrilla Games, grossomodo dallo Utah fino alla California, è contemporaneamente un luogo dell’anima e un luogo della mente, che ci ricorda dove siamo e chi siamo, ma che parla anche di qualcosa che potrebbe essere. Fa effetto scoprire le rovine di una città come Las Vegas nelle profondità di un insediamento diroccato in mezzo al deserto. È impressionante vedere gli strati di mille anni di civilizzazione dove il nostro presente è l’elemento antico e su cui le tribù di Carja, Tenakth, Oseram, Utaru hanno costruito uno strato di mondo tutto da scoprire, che si esprime un’interpretazione mitologica della nostra realtà. Ancora più che in Zero Dawn, in Forbidden West Guerrilla Games punta molto sul modo in cui le diverse culture dell’Ovest interpretano le tracce del passato, degli antenati, in chiave misterica, religiosa e simbolica.


È su questi elementi che si regge la narrazione e su cui poggia la matrice di gran parte delle avventure secondarie di Forbidden West. L’Ovest, rispetto all’Est, è un luogo di frontiera, dove il rapporto con il passato è più radicato, misterioso e sentito. La storia di Forbidden West non coinvolge per la vicenda principale in sé, piacevole e ariosa nella sua linearità e nella prevedibilità di alcuni “plot twist”, ma nel modo in cui tutto il materiale di riferimento viene organizzato sulla mappa, nel come tutti gli aspetti più caratteristici della cultura occidentale vengano elaborati e inquadrati dall’esterno, per poi essere sfruttati attivamente.

Mentre Aloy viaggia verso Occidente e compie la sua missione, le tribù dell’Est e dell’Ovest si incontrano e si riappropriano di pezzi di terra, guardando al passato con occhio diverso, ricodificando gli spazi e riscoprendo l’essenza dei luoghi. In questo, anche senza grandi momenti di pathos eccessivo, o forse proprio per questo afflato universale e pieno di malinconica speranza, con Forbidden West Guerrilla Games prova, e a mio avviso riesce, a fare un’operazione che trasforma un’utopia/distopia ecopunk in un’opera di puro intrattenimento, leggibile a più livelli. Non è un’operazione troppo lontana da quella di Miller con Mad Max Fury Road o quella di Wachowski con Matrix, e non è un caso che i riferimenti estetici e simbolici con quei due universi siano tanti, perché proprio come le opere citate, Horizon Forbidden West è un inno al cambiamento, alla forza creatrice di una generazione nuova che impone una riflessione, una rivoluzione, una presa di coscienza e una rielaborazione delle tradizioni, con l’abbattimento di tanti vincoli che, nel passato, sono diventati distruzione. Un messaggio chiaro, contemporaneo e potente, che non arriva durante gli spiegoni (che ci sono, ah, se ci sono, purtroppo), ma andando in giro a fare disastri e scoprire posti meravigliosi.

A caccia di macchine (e pochi umani)
Sì, perché al centro di tutto, al solito, ci sono le macchine, organismi biomeccanici nati originariamente per riportare la vita sulla Terra, ma che, all’atto pratico, sono diventate padrone di un mondo di cui rappresentano una fauna variopinta e feroce. Il cuore del gioco, esplorazione a parte, è combatterle, studiarle, capirle. Per farlo, Guerrilla Games ha lavorato principalmente sull’espansione di tutti i sistemi del primo capitolo, costruendo un vero e proprio sistema che strizza l’occhio al mondo dei giochi di ruolo d’azione, pur restando comunque molto leggero e accessibile. L’idea non è troppo dissimile dal sistema delle abilità visto negli ultimi Assassin's Creed, ma è più schematico e leggibile. Aloy ha a disposizione sei rami di abilità, ognuno dei quali presenta una serie di capacità attive e passive, legate ad alcuni aspetti del gameplay: combattimento in mischia, trappole, combattimento dalla distanza, il crafting, lo stealth e la capacità di dominare le macchine. Spendendo punti acquisiti completando missioni e livellando è possibile modificare l’attitudine di Aloy in base al proprio stile di gioco.


Più che di scelte assolute si tratta, più che altro, di decidere quali sono le priorità in termini di progressione, visto che nel corso delle tante ore che si spendono in lungo e in largo per l’Ovest Proibito, è possibile avanzare in maniera piuttosto spedita in tutti gli ambiti. La definizione di una propria build, in ogni caso, va a intrecciarsi con le tecniche arma, che possono essere richiamate durante gli attacchi per spendere il vigore accumulato colpendo i nemici, e le cariche valorose, sostanzialmente delle special a tempo che servono a dare potenziamenti importanti nei momenti culminanti degli scontri. Ogni ramo offre una serie di vantaggi specifici, che vanno dal potenziamento dei danni di un’arma all’invisibilità temporanea, passando per pozioni speciali e difese energetiche.

A sua volta, il sistema di abilità interagisce con un equipaggiamento molto più strutturato rispetto al primo capitolo, e vede dieci tipologie di armi, tre classi di armature diverse, trappole elementali di ogni forma e modificatori sotto forma di bobine da applicare alle armi e tessuti per gli abiti. Ogni oggetto, in base al grado di rarità, è personalizzabile in banchi di lavoro in cambio di pezzi di metallo e risorse, per un crafting che diventa essenziale per ottimizzare al meglio la resa di ogni strumento. Come se non bastasse, le munizioni elementali, che una volta sbloccate, prima, potevano essere utilizzate sempre, adesso sono specifiche per singolo arma. Insomma, l’idea dello studio olandese è stata quella di rendere l’approccio al combattimento molto più profondo e, da questo punto di vista, è così, dato che piuttosto che i numeretti dei danni, durante gli scontri a fare la differenza sono tipologia di danno e le debolezze degli avversari.


Intervallo. Guardate il riflesso negli occhi.
Lo scotto da pagare, in quel solco di rischi e opportunità a cui facevo riferimento all’inizio e sul cui confine sono declinati diversi aspetti di gioco, è aver sacrificato una certa immediatezza in ogni procedimento. Complice un’interfaccia non sempre chiarissima, il sistema di abilità ed equipaggiamento di Forbidden West non sono comodissimi da padroneggiare, mentre quello di potenziamento degli oggetti è un po’ farraginoso, nonché l’unica ragione che costringe, in alcuni momenti, a fermarsi dal flusso delle missioni per andare a “farmare” risorse, cosa che può piacere poco o tanto a seconda dei propri gusti.

Quello che non funziona benissimo, in assoluto, secondo me è il crafting di pozioni e trappole che, imbrigliato un po’ dall’albero delle abilità relativo, finisce per essere un po’ scomodo, soprattutto se confrontato con quello istantaneo, splendido, delle munizioni. I passaggi per decidere quale trappola costruire, quale utilizzare, come e perché, sono troppi e, soprattutto, nel mezzo delle battaglie a volte ci si confonde un po’, anche perché non è che proprio siano sempre agilissimi gli scontri con le macchine.


Questo perché, alla fine, nonostante la perdita di immediatezza Horizon Forbidden West ha un sistema di combattimento che si conferma divertente e che, grazie ai nuovi sistemi, è decisamente più profondo e intrigante. Mi riferisco soprattutto alla la possibilità di infliggere stati specifici saturando una macchina dell’elemento corrispondente, e utilizzare i diversi tipi di munizioni e armi non solo per sfruttare le debolezze di ogni singolo costrutto, ma anche per far esplodere sacche elementali, sovraccaricare resistenze oppure causare malfunzionamenti. Da questo punto di vista, combattere contro le macchine in Forbidden West è una vera e propria gioia, e per quanto non tutte le tipologie di armi, sulla lunga, risultino efficaci contro le macchine più pericolose, c’è spazio per ogni tipo di approccio, persino per quello frontale corpo a corpo. Personalmente ho cominciato puntando tutto su archi e stealth, ma con il corso del tempo mi sono specializzato nell’uso delle trappole, fondamentali, a mio avviso, nel creare vantaggi enormi contro gli avversari di dimensioni gargantuesche (come i Tremorzanna, a forma di mammuth giganti, o gli Aspidenti, cobra piuttosto infidi).

La verità è che non c’è un modo migliore e redditizio di affrontare gli scontri in Forbidden West, ma l’intero sistema si basa su una regola fondamentale: è vietato affrontare le sfide con leggerezza e senza un minimo di strategia. Ancora più del primo episodio, Guerrilla Games ha creato un sistema impegnativo, ma non frustrante, che trasforma i combattimenti in una danza divertente con nemici agguerriti che si comportano in maniera piuttosto furba, che dalla propria natura ferina recuperano movenze, attacchi e anche una certa furia.


I combattimenti sono intensi, divertenti e mai banali. Guai, infatti, ad affrontarli senza una strategia.
Se il combattimento contro le macchine ha migliorato ulteriormente una formula che, di suo, era già parecchio riuscita, ha fatto passi in avanti anche quello contro gli esseri umani. Questo non significa che l’intelligenza artificiale dei membri delle tribù ribelli sia migliorata in maniera esponenziale perché no, le meccaniche stealth degli avamposti nemici sono rimaste basilari, però è aumentata l’aggressività dei nemici e, in generale, la struttura dei livelli costringe a volte all’ingaggio frontale. In questi casi i combattimenti diventano più significativi, se non altro perché anche gli umani ora possiedono armature da “smantellare” a colpi energetici come le macchine, e routine di attacchi più vari e temibili. Soprattutto, però, la grande notizia è che campi e avamposti non sono per nulla centrali all’interno dell’avventura, per cui se ne può fare serenamente a meno, e gli unici scontri obbligatori contro guerrieri umani sono sempre messi in scena con una certa cura.

Orizzonti (quasi) perfetti
La parola cura, d’altra parte, è probabilmente un altro degli elementi chiave di Horizon Forbidden West, visto che, come dicevo, ogni elemento di gioco comunica con gli altri sistemi in maniera armonica. Se il combattimento è diventato più complesso, anche l’esplorazione non è da meno. Il merito non va solo alla struttura del mondo, al perché delle cose, o al senso che Guerrilla Games ha saputo trasferire alle ambientazioni, ma anche al modo in cui la mappa non è divisa in zone pensate a livelli, quanto più in aree da visitare a più riprese, dopo aver sbloccato diversi strumenti che permettono di raggiungere luoghi remoti, impervi e apparentemente irraggiungibili.

Questo perché Aloy non solo si può arrampicare meglio in modo più libero (ma non del tutto), ma anche perché nel corso dell’avventura ha modo di sbloccare diversi strumenti in grado di ampliare il range di movimenti. Dall’Alascudo, che un po’ come accadeva in The Legend of Zelda: Breath of the Wild, consente di planare in ogni dove, alla maschera marina, che permette di respirare sott’acqua, passando per altri attrezzi speciali in grado di aprire varchi precedentemente bloccati, Forbidden West integra nel flusso dell’avventura momenti di esplorazione purissima, con qualche lieve accenno a enigmi ambientali e alcune sequenze di natura velatamente platform che rendono giustizia non solo a un level design molto ispirato, ma soprattutto alle animazioni di Aloy, che si muove in maniera sublime e convincente.


Questo perché Forbidden West offre quasi sempre un colpo d’occhio sontuoso, che travolge non solo per la potenza dei paesaggi e una capacità di veicolare e sfruttare la luce (nonostante il ciclo notte-giorno continuo) in maniera narrativa, ma proprio per il modo in cui qualsiasi elemento sullo schermo contribuisce a dare informazioni utili o, semplicemente, raccontare un pezzettino di mondo. Dalla ricerca architettonica degli insediamenti al design delle armi, fino al volto dei personaggi, Forbidden West offre squarci di totale meraviglia nel modo in cui i diversi biomi e le diverse culture plasmano esteticamente il mondo in un continuo sincretismo di suggestioni futuristiche, tribali e storiche innestate in uno scenario naturale selvaggio. Da questo punto di vista, Guerrilla Games ha lavorato in maniera sinesteticamente notevole, facendo parecchia attenzione alla rappresentazione sensoriale di ogni elemento, con una colonna sonora invasiva e molto presente, ma che invece di distrarre diventa parte integrante di un paesaggio sonoro incredibilmente evocativo, che alterna suoni elettronici, archi e suoni naturali quasi a raccontare l’anima e la voce di ogni luogo. A questo, si aggiunge un uso molto efficace dell’altoparlante del DualSense per quanto riguarda i suoni della battaglia, e il tentativo di comunicare tramite le funzioni aptiche non tanto solo la resistenza dei colpi, quanto l’impatto con le superfici.

Anche registicamente Guerrilla Games ha fatto dei passi da gigante notevoli, sia durante le scene di intermezzo, sia soprattutto durante i dialoghi, che finalmente si staccano dall’orribile alternanza di primi piani. Il dettaglio grafico dei volti, inoltre, è semplicemente stratosferico, e a memoria, si tratta del primo open world in cui negli occhi dei personaggi si coglie il riflesso dell’immagine circostante, un dettaglio, questo, che nei primi piani fa tutta la differenza del mondo. Certo, purtroppo durante le sequenze meno importanti i volti dei personaggi sono decisamente pochi espressivi e gli occhi, seppur bellissimi, diventano tragicamente vitrei. Questo perché, a conti fatti, neanche Guerrilla Games è riuscita a sfuggire alla trappola degli open world affetti da gigantismo e finisce per incorrere in qualche vizio di forma e tecnico di troppo.


Strano ma vero, infatti, per un team di sviluppo che da questo punto di vista è sempre una garanzia, ma Forbidden West non è un gioco pulitissimo, nonostante una patch (equivalente a quella day one) nel corso della prova abbia migliorato tantissimo la situazione, rendendo i difetti del gioco poco impattanti in termini di gameplay. Resta, però, un fenomeno di clipping e di streaming di alcune parti di mondo che, a volte causano la presenza di oggetti e strutture sospese e che, in alcuni casi, possono anche confondere, soprattutto al galoppo, o in volo (sì, ci sono anche le creature volanti da cavalcare). Allo stesso tempo, proprio come in tutti gli open world del genere, sono da mettere in conto alcuni momenti goffi, con compenetrazioni bizzarre o qualche bug che, nel corso dell’avventura mi ha costretto a riavviare una quest, per colpa di qualche trigger non attivato o di nemici incastrati in zone della mappa irraggiungibili.

Allo stesso modo, pur mascherando i propri limiti in maniera quasi sempre elegante, le mappe di Forbidden West evidenziano punti artificiosamente non superabili e muri che danno qualche scossone alla tenuta degli ambienti, ma complessivamente si tratta tutto sommato di problemi che nel computo dell’esperienza fanno storcere il naso qualche volta, ma che, presumibilmente, nel giro di qualche patch saranno probabilmente sistemati e che, in ogni caso, non hanno conseguenze drammatiche. Certo, resta il dubbio su quanto la mancata ottimizzazione di alcuni aspetti possa essere relativa alla necessità di ottimizzare il gioco per due generazioni differenti. In ogni caso, per le dimensioni della mappa, la complessità e la densità degli ambienti, la cura delle animazioni di personaggi e macchine, nonché la grandezza di alcune strutture, l’idea di poter volare da una parte all’altra del mondo senza soluzione di continuità, senza caricamenti e con una linea di vista piuttosto ampia resta comunque notevole. Non un percorso netto, dunque, sotto il profilo tecnico, quello di Guerrilla Games, ma anche in questo caso si tratta di un cammino sul filo tra rischi e opportunità e, alla fine, ne è valsa la pena.

Prestazioni, risoluzione e PlayStation 4


Su PlayStation 5, Horizon Forbidden West può essere giocato in due modalità grafiche diverse: prestazioni e risoluzione. Nella prima, a scapito di un dettaglio grafico sensibilmente meno definito e contorni meno puliti, il gioco mantiene un framerate di 60 FPS senza (quasi) incertezze grazie a una risoluzione variabile. Selezionando la seconda, invece, il gioco conserva una qualità grafica superiore (e la differenza, in termini di chiarezza visiva, è sensibile) ma, ovviamente, il frame rate viene dimezzato, attestandosi su 30 FPS generalmente garantiti, ma con qualche calo saltuario. Il vantaggio, però, è che alternare le due modalità è un processo rapidissimo e privo di caricamenti, per cui nulla vieta di optare per una soluzione mista.

Su PlayStation 4, invece, il gioco scende a diversi compromessi, pur mantenendo un colpo d'occhio notevole e, sottolineo, discretamente superiore al già pazzesco Zero Dawn. Con 30 FPS piuttosto costanti, Forbidden West provato su PlayStation 4 Pro mostra geometrie più semplici, texture meno definite e, ovviamente, volti un po' più plasticosi e rigidi. Anche su PS4 è presente, in misura anche superiore, il fenomeno di clipping, a cui ogni tanti si aggiunge qualche texture che "arriva in ritardo".

Detto questo, dal punto di vista dell'impatto complessivo la palette cromatica e la ricchezza dei quadri riescono a compensare la mancanza di dettagli. Diverso il discorso sui caricamenti: se è vero che è possibile esplorare l'intero mondo senza soluzione di continuità, all'avvio del gioco e in seguito ai viaggi rapidi le attese sono mediamente lunghe. Occhio anche al discorso rumorosità, che ovviamente dipende dallo stato di salute della singola PS4, ma, insomma, nel mio caso ho sentito il caro vecchio reattore rombare ruggente.

Saluti dall'Ovest Proibito
Quello che resta, sulle sponde dell’Oceano a Segnamarea, sono, dunque, i ricordi di un viaggio che è contemporaneamente un racconto di speranza, di condivisione e di formazione, nonché un saggio di quanto open world e narrazione possano andare d’accordo senza necessariamente creare attriti forti o dover necessariamente reinventare la ruota.

Certo, un’esperienza enorme e strutturata come quella di Horizon Forbidden West è frutto di compromessi, di scelte e di semplificazioni, ma l’intelligenza di Guerrilla Games è stata quella di trasformare una serie di necessità in una forma di ricchezza, facendo scivolare all’interno del flusso di gioco tutta una serie di tematiche per certi versi anche metatestuali, come la riflessione sull’identità, il rapporto tra finzione e realtà e quello con la conoscenza.


Saluti dal mio scoglio a Segnamarea.
Soprattutto, la forza dello studio olandese è stata quella di ripartire da tutti gli elementi che funzionavano meno del primo episodio per rifinirli, ampliarli, ricollocarli, anche a costo di incasinare le cose e renderle più complicate, oltre che complesse e profonde. Forbidden West, in questo, è un salto in avanti ambizioso, ma ugualmente sincero e diretto, tanto quanto lo era Zero Dawn.

Non tutto funziona perfettamente, ma è difficile trovare un open world in stile luna park più equilibrato di quello realizzato da Guerrilla Games. Un mondo, che dopo 65 ore, non stanca, suggerisce che c’è ancora tanto da vedere e, soprattutto, da giocare. Un mondo di cui ricordi i suoni e le atmosfere. Un mondo che alla fine ti sembra di aver contribuito a definire, plasmare e cambiare. Alla fine è probabilmente un’illusione, alla fine è più quel mondo ad averti cambiato, ma cosa importa? I ricordi importanti, alla fine, ritornano sempre, e Horizon Forbidden West, nel bagaglio della memoria della mia vita da videogiocatore, è uno di quelli importanti.

MODUS OPERANDI

Ho giocato a Horizon: Forbidden West grazie a un codice PlayStation 5 fornito dal distributore italiano. Ho provato il gioco su PlayStation 5 (collegata a un monitor LG 27UL500, 4K, HDR), dedicando all'avventura di Aloy 65 ore, raggiungendo il livello 40. Ho completato tutte le quest principali, una buona parte delle missioni secondarie e una parte di incarichi e attività secondarie. Facendo due calcoli, ragionando in base alle statistiche di gioco, è impossibile completare il gioco in meno di 40 ore concentrandosi sulla storia principale, mentre per vedere tutto quello che ha da offrire l'Ovest Proibito sono necessarie circa 100 ore. Ho giocato in modalità esplorazione (quindi con HUD leggermente ridotto e meno indicatori sulla mappa), e gran parte del tempo ho preferito la modalità prestazioni a 60 FPS, ma siccome è immediato passare a quella con priorità alla risoluzione, alcuni pezzi narrativi me li sono goduti serenamente a 30 FPS con un dettaglio grafico superiore (percepibile). In entrambe le modalità il gioco, in alcune aree e durante gli spostamenti rapidi a bordo delle macchine, presenta fenomeni di clipping più o meno pronunciati. Ho provato il gioco anche su PS4 Pro, come indico nel box, dove, al netto di una complessità grafica inferiore e caricamenti molto più lunghi, il gioco se la cava a 30 fps (quasi) fissi.

Verdetto
Horizon Forbidden West espande, migliora, e rende più complessi tutti gli aspetti di Horizon Zero Dawn. Dalla narrazione, lineare, ma finalmente stratificata e registicamente interessante, fino a un gameplay con molti più sistemi che interagiscono tra essi in modo incredibilmente equilibrato, passando per un open world gigante e pieno di cose da fare. La nuova avventura di Aloy coinvolge e, soprattutto, diverte. Il segreto di Guerrilla Games, alla fine, è sempre lo stesso: costruire l’intera esperienza intorno al gameplay, rendendo significative tutte le azioni dei giocatori, pur all’interno dei canoni degli open world affetti da gigantismo. Forbidden West fa del world building e della narrazione ambientale una cifra importante su cui strutturare un’avventura enorme, ma che tuttavia non perde mai di mordente e che offre una sfida appagante e non banale. Tecnicamente, a fronte di una qualità grafica sontuosa, il nuovo gioco di Guerrilla Games offre un po’ il fianco a un’ottimizzazione non sempre convincente e si trascina dietro un po’ di problemi classici di mappe così grandi, come qualche bug di troppo e un fenomeno di clipping che, ogni tanto, comporta l’apparizione ritardata di pezzettini di mondo. Tutto questo, però, francamente, non impedisce a Forbidden West di regalare momenti sublimi, combattimenti pazzeschi e la sensazione di aver vissuto una grande avventura di frontiera, speranza e cambiamento.
[Modificato da bistrascio 11/03/2022 14:48]







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20/03/2022 20:26
 
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Mamma mia che giocone!Enorme,bello,tutto stupendo,visi,parlato,grafica mozzafiato.Sono arrivato nel deserto e non ho mai visto una sabbia cosi viva.Consiglio a tutti di comprare questo GOTY per me,e se avevate giocato al primo(e a me non aveva molto preso)questo sarà molto di più,tutto molto migliorato in tutti i sensi..Per me la I.P. Sony principale degli ultimi 10 anni.
[Modificato da bistrascio 20/03/2022 20:27]







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23/03/2022 10:27
 
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Finito il primo in tutte le salse il primo. Ho preso il secondo e non vedo l'ora di iniziarlo
Insieme a the last of us, uno di quei giochi che è veramente un peccato farselo scappare.
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