Scritto da: winning 03/02/2007 2.44
Ernesto Che Guevara, il mito
l’eroico combattente latino americano presentava in realtà degli aspetti decisamente diversi da quelli presentati dalla letteratura agiografica.
di Luciano Atticciati
Da sempre il guerrigliero “cubano” ma di origine argentina, è stato descritto come una figura eroica e fortemente innovativa rispetto al tipico leader comunista. Questa descrizione corrisponde in parte al vero, il “Che” era sicuramente un personaggio meno freddo e impenetrabile dei conformistici leader comunisti tradizionali, ma molto di ciò che si dice del personaggio risulta lontano dalla realtà. Scorrendo su internet noi vediamo un gran numero di siti dedicati al personaggio, alla sua vita e ai suoi scritti. Molto raramente però leggiamo sui siti italiani quello che fu il suo primo incarico a Cuba dopo la rivoluzione, ovvero la direzione del grande carcere di La Cabana. In tale incarico il Che si distinse per la sua volontà di persecuzione nei confronti dei detenuti politici, molti dei quali passati per le armi. Degli anni della rivoluzione il giornalista inglese Paul Johnson ricorda che gli uomini di Guevara combatterono pochissimo, e nella famosa battaglia di Santa Clara, passata alla storia come la svolta definitiva della rivoluzione, i guerriglieri riportarono non più di sei vittime. Il capo guerrigliero non mancava di alcune asprezze, in un suo intervento, un anno dopo la rivoluzione, affermò: ”Nell’Esercito Ribelle si pensa che il fatto di costituire l’esercito popolare basti a porlo al di là della disciplina, e che la disciplina sia qualcosa che aveva motivo di esistere solamente nell’antico esercito e che nel nuovo non sia più necessaria. Si tratta di un’idea falsa e pericolosa”.
Negli anni Sessanta si ebbero a Cuba per esplicita ammissione governativa ventimila internati nei campi di concentramento per motivi politici, operazione pienamente avvallata dal grande rivoluzionario. Come responsabile del settore economico il Che dimostrò molta insensibilità per le necessità della gente, privilegiando come di consueto nei regimi comunisti di quegli anni, l’industria pesante e la più rigida pianificazione. Il Che non era particolarmente prodigo nei confronti dei lavoratori, si espresse contro il diritto di sciopero e a proposito del ruolo dei sindacati sostenne che: “I sindacati sono strettamente legati all’aumento della produttività e alla disciplina del lavoro, pilastri dell’edificazione del socialismo”. Tale politica non favorì lo sviluppo economico del paese, non solo molti progetti industriali e urbanistici rimasero incompleti, ma l’agricoltura venne danneggiata, e il paese altamente produttivo in questo settore, vide l’introduzione del razionamento alimentare.
Dopo la rottura con il governo per la politica prudente e “realista” di Fidel Castro, intraprese la sua avventura in Congo, dove le formazioni guerrigliere erano ispirate più da finalità xenofobe che da intenti rivoluzionari. Infine raggiunse la Bolivia. Nel paese latino americano non ottenne il consenso del locale partito comunista, che in realtà si sentiva scavalcato dall’iniziativa, e non ottenne il consenso dei contadini indios che avevano ottenuto in quegli anni importanti concessioni dal governo di Paz Enstensoro, un socialdemocratico che aveva realizzato la riforma agraria in accordo con il governo degli Stati Uniti. Isolato e privo di qualsiasi piano d’azione, il piccolo gruppo di guerriglieri venne catturato e passato per le armi.
UN MITO PER VIOLENTO E IGNORANTI (tratto da www.cubaitalia.org - Unione per le libertà a Cuba)
La storia d’Ernesto Guevara diventò dopo l’incontro con Castro in Messico del 1956: scelto come medico della guerriglia. Raccontano i guerriglieri che durante il primo combattimento Guevara lanciò violentemente la valigetta dei medicinali. “Datemi il fucile”, fu la sua storica leggenda che i castristi attribuiscono al guerrigliero argentino. Da quello stesso momento il mito incominciò a crescere fino ad acquistare dimensioni internazionali. In ogni modo, la freddezza era ciò che definiva il suo carattere. Il suo gran merito era la volontà di lottare contro di quello che gli dava più fastidio, l’asma cronica ed il capitalismo; ma il dramma della sua personalità consisteva nel fatto che proiettava la malattia sul presunto nemico. Questa forma fredda di concepire la vita, lo portò, non solo a diventare implacabile col nemico, ma anche a sacrificare la vita di coloro che lo’hanno seguito.
Chi conosce da vicino il dramma della prigione La Cabaña, fortezza militare spagnola diventata carcere, non può fare altro che distruggere con rabbia il mito di Guevara. Insieme ai muri, rimangono i testimoni delle fucilazioni, organizzate e ordinate da Che Guevara, capo del sinistro carcere, nei primi mesi del 1959.
Bisogna creare: uno due, tre…tanti Vietnam, questo il messaggio di Che Guevara alla Tricontinentale, raduno di rivoluzionari del “Terzo Mondo”, svoltasi a Cuba nel 1966. Era un appello alla violenza all’odio. Sapeva che lì si disegnava un piano di terrore contro l’occidente.
Guevara paradossalmente nacque quando morì in Bolivia nel 1967, occasione in cui l’esercito locale, uccidendolo fece un ottimo servizio a Fidel Castro, al comunismo internazionale e anche ai violenti del Sessantotto . Fu da allora che Che Guevara divenne il simbolo dell’eroe morto per la giustizia sociale. Un vero pretesto alla violenza per chi caccia senza scrupoli gli avvenimenti storici per strumentalizzarli e tenere nel buio al comune cittadino.
Probabilmente senza la morte in Bolivia, Che avrebbe fatto la fine di tanti stretti collaboratori di Castro, di cui, per ragione di spazio, risparmio i loro nomi. Ma bisogna rilevare che degli strettissimi collaboratori del dittatore cubano, solo Raul suo fratello, una figura insignificante è riuscito a sopravvivere.
Insomma, così come il Che vivente creava interferenze al potere assoluto, il Che Guevara morto si è convertito in materiale per l’opera di strumentalizzazione di Castro e suoi complici di tutto il mondo. Castro s’impadronì del simbolo per la sua propaganda e ai russi conveniva solo il fedelissimo, che vendette l’anima al diavolo stalinista.
Prima della morte, Che inviò il suo messaggio chiave al raduno dei rivoluzionari d’Asia, Africa e America Latina con parole d’odio e di morte . Sapeva tra l’altro che lì si disegnava un piano di lotta violenta contro l’occidente e contro gli americani: “Il rivoluzionario deve imparare ad odiare e ad uccidere, uccidere, uccidere”. Odio e morte erano i messaggi di Guevara. Morte e oddio è oggi quello d’Osama ben Laden. Il messaggio dei portatori di bandiere della pace con la foto di Guevara sul petto, ha per me due interpretazioni:
Un ignorante che non si rende conto di essere un portatore di violenza
- Un vero violento, capace di uccidere che strumentalizza i concetti per confondere il comune cittadino.
Carlos Carralero
a leggere queste righe ho avuto conferma di molte cose.