RECENSIONE NEXTGAME
Fox River, andata e ritorno
Michael Scofield sta per fuggire... e lo sanno anche i sassi!
La prima stagione di Prison Break è un esempio eclatante del poco rispetto con il quale la televisione italiana generalista tratta i migliori prodotti seriali statunitensi. Andata in onda su Italia 1, ha costretto gli appassionati ad alchimie degne di un veggente, per capire ovviamente in che giorno e in che ora sarebbe andato in onda l'episodio successivo. Inutile dire che il sottoscritto, appassionato di serie TV a livello maniacale, al primo salto nel buio ha preferito rivolgersi ad Amazon.com e ordinare il cofanetto in DVD.
E fu scelta giusta, perché della lunga avventura che coinvolge i fratelli Scofield/Burrows, proprio quella prima stagione rappresenta il punto più elevato. Splendido il carcere di Fox River, in realtà il dismesso "Joliet" in cui fu rinchiuso Jake in The Blues Brothers, così simile anche allo Shawshank di "Le ali della libertà": in pratica un vero e proprio personaggio aggiuntivo strettamente legato all'immaginario della vecchia prigione americana, dura e cadente al tempo stesso.
Le idee, in quella prima stagione, si sprecavano, e ogni cliffhanger lasciava con il fiato sospeso: sensazioni che abbiamo ritrovato anche nella seconda stagione, nonostante l'assenza del personaggio di calce e pietra, ma che poi sono andate a scemare in una terza che si può definire, a parte qualche personaggio e situazione "ribaltata", abbastanza deludente. E la conclusione? Al momento di scrivere questa recensione, non la conosciamo: il cofanetto della quarta stagione, più il mini-movie "Prison Break: The Final Break" sono sullo scaffale, ancora da vedere. Nella speranza che gli autori abbiano saputo concludere degnamente un serial partito davvero sotto i migliori auspici.
ritorno a fox river
Le vicende del gioco si dipanano contemporaneamente alla prima stagione, appunto: dall'incarcerazione di Michael Scofield fino alla rocambolesca fuga dal penitenziario. Il protagonista, però, non appartiene al "gruppo" che abbiamo imparato a conoscere tra i corridoi di Fox River, perché la trama narrata in questo videogioco è in sostanza "parallela" a quella vista durante la "first season".
Il nostro alter-ego si chiama Tom Paxton, e viene rinchiuso a bella posta dalla "Compagnia" con un unico scopo: fare in modo che Lincoln Burrows, fratello di Michael Scofield e condannato alla sedia elettrica per l'omicidio del fratello del Presidente degli Stati Uniti, arrivi sano e salvo al suo appuntamento con il destino. Una condizione fondamentale per avvalorare il piano di copertura messo in atto dai cospiratori della Compagnia, per i quali Burrows rappresenta il capro espiatorio ideale.
Fin dai primi momenti, l'appassionato della serie può bearsi di una ricostruzione del penitenziario molto fedele, sia a livello meramente tecnico che in termini di atmosfera. I corridoi, le celle, i capannelli di detenuti, il cortile, le fognature, i magazzini... c'è tutto e a una prima occhiata l'impressione è proprio quella di trovarsi lì, con i "con man" più pericolosi, con il capomafia John Abruzzi e il temibile maniaco sessuale T-Bag.
La realizzazione dei personaggi, però, non è altrettanto felice, in termini di fattezze e di animazioni. D'accordo che tipicamente in carcere l'unico modo di passare il tempo - ammesso di non essere impegnati a progettare una fuga - è quello di darsi al Body Building, però la caratterizzazione delle animazioni dei personaggi è davvero eccessiva. In gran parte si muovono come degli scimmioni iper-palestrati, cosa che rende involontariamente ridicole alcune situazioni, specialmente nelle cutscene filmate.
A livello di aspetto, poi, il team di sviluppo è riuscito a metà nel suo intento di realizzare copie fedeli dei personaggi già conosciuti sul piccolo schermo. In alcuni casi abbiamo visi abbastanza somiglianti, in altri l'approssimazione fa alzare più di un sopracciglio. È un peccato, perché guardacaso è proprio con questi (John Abruzzi, per esempio, interpretato dall'idolo redazionale Peter Stormare) che avremo più a che fare durante l'avventura.
ABC del gioco d'azione "stealth"
A livello di giocabilità, Prison Break si fa apprezzare per le primissime missioni, per poi cadere in una ripetitività di fondo che un finale potenzialmente adrenalinico non riesce a risollevare (sul "potenzialmente" torniamo dopo...).
In sostanza, il gioco si svolge a tappe ben precise: si parla con una persona per ottenere una missione, la si svolge, si ottiene la ricompensa e si ricomincia daccapo. All'interno di alcune aree, come il cortile di Fox River, ci si può muovere abbastanza liberamente e scegliere, per esempio, di passare il tempo sollevando pesi o allenandosi al sacco per migliorare le proprie abilità di combattimento, ma a parte questo lo svolgimento delle missioni vere e proprie è di una linearità disarmante, con tanto di percorsi segnalati con colori sgargianti à la Mirror's Edge.
Non aiuta il fatto che le missioni, quasi tutte basate sulla necessità di infiltrarsi senza essere visti, si ripetano tutte uguali dall'inizio alla fine: c'è qualche telecamera da evitare, qualche poliziotto di pattuglia molto poco attento (il cono visivo è decisamente limitato) e al minimo errore si viene portati a un checkpoint precedente (per fortuna sono frequenti) e la scena deve essere ripetuta.
A intervenire per rompere la monotonia intervengono due fattori: i combattimenti e gli enigmi. I primi sono molto semplicistici, visto che si usano sostanzialmente tre tasti: l'attacco rapido, l'attacco "pesante" e la schivata. Premendo a tempo la schivata si può sbilanciare l'avversario e colpirlo con un pugno più potente, per il resto si tratta solamente di alternare gli attacchi rapidi per arrivare, abbastanza semplicemente, a sconfiggere qualsiasi contendente. E questo senza praticamente aver passato nemmeno un minuto ad allenarsi in cortile per migliorare le proprie statistiche.
I secondi sono semplici mini-giochi attraverso i quali dovremo forzare una serratura, accedere a un pannello elettrico, svitare delle grate. Simpatici all'inizio, ripetitivi a lungo andare, irritanti quando le operazioni richieste vengono "tirate per le lunghe" in modo artificiale verso la parte finale del gioco. Alcune possibilità, come quella di poter sbirciare attraverso una fessura di una porta, sono del tutto inutili considerando che c'è sempre una mappa completa sullo schermo che riporta la posizione degli altri personaggi: l'unica utilità di questa azione l'abbiamo trovata in situazioni in cui era necessario utilizzarla per attivare il "trigger" che dava il via a una nuova azione scriptata.
quick time event, mon amour
Tutto sommato, però, lo svolgimento delle missioni in Prison Break può dirsi più che sufficiente: certo, manca qualche idea e c'è molta ripetitività nelle azioni da compiere, però la trama scorre abbastanza bene e tutto sommato si ha voglia di arrivare al finale.
Quello che spezza davvero l'atmosfera sono sequenze di Quick Time Event che raramente abbiamo trovato così fuori posto. Non perché non ci stiano in un gioco simile, ci mancherebbe, ma per l'assoluta mancanza di intuitività e tempismo nella loro esecuzione, difetti che comportano risoluzioni in puro stile laser-game: Try and Repeat.
Per esempio, in alcune sequenze è necessario premere molto velocemente un tasto frontale del joypad, per poi premere singolarmente un altro tasto. Ebbene, la mancanza di una pausa sufficiente tra le due azioni comporta un errore inevitabile, perché l'icona del secondo comando compare mentre ancora si sta premendo forsennatamente il primo. Inoltre, mancano riferimenti visivi alle azioni da compiere, nella maggior parte dei casi, e qualche volta il gioco "bara": capita infatti che si chieda di premere Croce (abbiamo testato la versione PS3) per spostarsi verso sinistra, Cerchio per andare a destra e Quadrato per tornare di nuovo a sinistra. Stessa direzione, stesso movimento, stessa inquadratura, stessa azione di prima, ma tasto diverso. Perché cambiare, se non per "gabbare" artificialmente il giocatore? Il fatto, poi, che tutti i comandi siano rappresentati al centro dello schermo non aiuta l'intuitività e contribuisce contribuisce non poco a generare nel giocatore un certo qual senso di confusione.
Ed è proprio qui che riprendiamo il discorso su quel "potenzialmente" lasciato in sospeso: la severità e lo schema con la quale queste scene sono state progettate stona soprattutto nei momenti "topici", perché anche in questo caso basta sbagliare un tasto e si deve ricominciare la sequenza daccapo. Spesso non c'è modo di capire quale sarà l'azione successiva e magari una scena ben scritta e ben realizzata come quella che conclude il gioco, basata su un dialogo bello serrato a fare da sfondo a una situazione davvero adrenalinica, vede mortificata tutta la sua potenza narrativa perché continuamente interrotta e ripresa dall'inizio a causa dell'errore del giocatore. Un errore di cui, in fondo, ha responsabilità solo parziali.
ti racconto una storia...
A livello di trama, dobbiamo dire che è stato fatto un buon lavoro: il pericolo in questi casi è sempre quello di cadere in qualche paradosso antipatico, perché la storia che si va a raccontare si incastra in maniera pericolosa con vicende e personaggi già noti. A nostra memoria (è passato qualche anno dalla visione della prima stagione del serial), non ci sono particolari incongruenze, se non qualche battuta di Burrows verso la fine riguardo al padre Aldo, e il fatto che in ogni caso il nostro Paxton nel corso degli eventi assume un ruolo piuttosto importante: stona che nelle stagioni successive del serial TV di lui non vi sia traccia.
Colpisce invece qualche caduta di stile, come il fatto che il protagonista passi gran parte del suo tempo a prendere appunti vocali su un registratore che, a rigor di logica, avrebbe dovuto essergli tolto al suo ingresso a Fox River. Per non parlare del fatto che si mette a chiacchierare tra sé, registratore in mano e in bella vista, anche quando è in mezzo ad altri detenuti o vicino alle guardie. Piccole cose, ma capaci di minare atmosfera e credibilità.
In definitiva, però, complice una durata non proprio mozzafiato e nonostante la ripetitività di fondo, Prison Break si fa giocare con sufficiente trasporto, ma si tratta di un titolo strettamente dedicato a chi ha amato la serie TV. Difficilmente chi è a digiuno del background dei personaggi potrà gradirlo più di tanto, perché la storia salta con decisione tra i momenti salienti del "piano di fuga" e, ovviamente, non narra nulla di quanto Scofield ha messo in cantiere per riuscire ad evadere da Fox River. Le citazioni visive sono tantissime e piacevoli solo per chi le conosce (poter passare attraverso gli "scavi" fatti dai fuggitivi e riconoscere i percorsi, per esempio, o trovare qua e là un origami abbandonato...), agli altri ovviamente non possono dire gran che. E ciononostante, il gioco è abbastanza "spoileroso" da spingerci a sconsigliarlo a chi non ha mai visto Prison Break, perché si finirebbe inevitabilmente per rovinarsi una delle esperienze televisive migliori degli ultimi anni.
di Simone Soletta - 26/3/2010
Commento
Prison Break è un titolo capace di disegnare sui vostri schermi una versione digitale abbastanza credibile di Fox River e della "fauna" che l'ha popolata durante la prima stagione del serial tv. Al di là dei personaggi, non tutti riuscitissimi, e di qualche animazione eccessivamente gorillesca, l'appassionato del serial troverà nel gioco una rappresentazione abbastanza fedele di quanto ha imparato ad apprezzare.
Il gioco, però, si rivela ben presto ripetitivo, e minato soprattutto da un sistema di Quick Time Event realizzato in modo davvero discutibile. È un peccato, perché la trama scioglie qualche nodo sul coinvolgimento della Compagnia nella cospirazione ai danni di Lincoln Burrows: solo per questo, pensiamo che chi ha amato la serie TV dovrebbe prendere in considerazione questo titolo, nonostante i difetti oggettivi che porta con sé, perché tutto sommato, pur senza eccellere in nessun particolare comparto, Prison Break resta sempre, e abbondantemente, sopra la sufficienza.
[Modificato da Thunder105 26/03/2010 11:54]