00 03/09/2006 00:04

Fonte:Repubblica.it

Il "lato oscuro" del motore di ricerca più popolare del pianeta
Mail, desktop search, catalogazione. "Un Golia dai piedi d'argilla"

Dagli hacker un libro denuncia
arriva "The dark side of Google"

All'Hackmeeting di Parma l'anticipazione del volume
che verrà pubblicato entro la fine dell'anno da Feltrinelli


E' il numero uno, non ha concorrenti, ai suoi dipendenti concede il venti per cento del tempo lavorativo per sviluppare quello vogliono. Google è questo, ma non solo. Negli ultimi anni, attraverso il suo complesso sistema di reclutamento, rigorosamente online, sta attirando a sé i migliori programmatori di tutto il mondo. E il movimento hackers, riunito a Parma per l'annuale Hackmeeting fino al 3 settembre, lo sa. Tanto da aver iniziato una lenta ma inesorabile retromarcia, a cominciare con l'autocritica.

Già, perché se Google è diventato quello che tutti conosciamo è anche grazie a loro. Che lo hanno inneggiato, ammirato, contemplato quasi. Che si sono compiaciuti quando Larry Page, il cofondatore insieme a Sergey Brin della Google Inc., ha confessato che il primo logo del più famoso motore di ricerca era stato fatto grazie a Gimp, ovvero la versione open source del commercialissimo Photoshop.

Ma non è più così. I tempi cambiano. E forse, fra qualche anno, ci si accorgerà della parabola discendente che Google, proprio lui, l'innovativo e sempre più indispensabile Google, sta percorrendo. Almeno questo è quanto pensa la comunità hacker riunita sotto la sigla di Ippolita che, in occasione del 9° Hackmeeting italiano, ha presentato in anteprima la sua ultima fatica: il libro "The dark side of Google" in uscita per Feltrinelli alla fine dell'anno.

Una ricerca durata più di un anno, in cui vengono ripercorse le scelte, le idee, i segreti, ma soprattutto le conseguenze e i rischi del successo di Google. Dal primo vagito del 1998 fino ad oggi, analizzando tutti i servizi che il gioiello di Mountain View ha via via sfornato. Come Gmail, il servizio di posta elettronica di posta elettronica annunciato e poi offerto nel 2004. "Quello che nessun utente sa, o meglio non vuole sapere", dicono i partecipanti alla comunità Ippolita, "è sotto gli occhi di tutti: i nostri dati, le email che usiamo, ciò che scriviamo, vengono archiviati ed elaborati da Google per ricavarne informazioni sui gusti, gli stili, le abitudini, per poi usarli per sé o rivenderli a terzi" e aggiungono "la cosa interessante e inquietante è che a Google non interessa associare le informazioni a una persona specifica. A lui non interessa che la tal cosa sia stata scritta dalla tal persona alla tal altra. Ma interessa cosa è stato scritto, e da quanti è stato scritto. Quante volte è stato usato quel tipo di email e non un altro: a lui interessa la quantità di volte che un elemento è ripetuto, non necessariamente la relazione che quell'elemento intrattiene con gli altri. In questo modo non viola legalmente alcuna privacy individuale, semmai quella collettiva, che però non è difesa da nessuna legge. Tanto più che ogni singolo utente accetta esplicitamente l'uso che Google farà dei suoi dati".

E chi dovrebbe difendere la privacy collettiva? "Si può solo dire che il governo americano ha più volte chiesto a Google di prendere visione dei suoi database, ma per diversi motivi, non è mai riuscito a farlo".

"Un altro esempio? Google Desktop Search. Un piccolo software gratuito capace di cercare qualsiasi tipo di file nel computer sfruttando le potenzialità dei propri algoritmi. Ma di fatto scandagliando informazioni direttamente sul computer dell'utente".

Non basta? Sotto accusa anche la stessa catalogazione delle pagine web. Proprio il punto forte di Google. Affermano gli autori del libro: "Google non indicizza tutte le pagine. E' un errore crederlo, e un inganno dirlo. E' difficile dare un percentuale delle pagine non considerate da Larry, Sergey & Co, ma un'indicazione ragionevole sta tra il 20 e il 30%".

E non è finita qui. "Davvero Google trova quello che noi cerchiamo?" si chiede provocatoriamente la comunità Ippolita. E la risposta, altrettanto provocatoria, è: no. "Google offre la possibilità di trovare fra le prime pagine dei risultati quello che l'utente medio cerca, ma non quello che io sto cercando. Il risultato è tecnologicamente impressionante, ma porta con sé l'idea che quello che cerco sia esattamente quello che Google mi offre. Non è così. Ormai non è più Google che si adegua alle mie esigenze, ma io che mi adeguo a quelle dell'utente medio".

Centoquaranta pagine di analisi e critica per raccontare i lati oscuri di un'icona web, un intoccabile tabu come Google, in cui trovano spazio veri e propri "mea culpa". Come nel caso del capitolo "Sedurre gli hackers: autonomia, soldi facili, strumenti gratuiti", ovvero come il contributo del mondo hacker abbia aiutato il successo di Google, alimentando un immaginario che Larry Page e Sergey Brin hanno brillantemente sfruttato.

E allora cosa fare? Boicottare anche l'amato motore di ricerca e tutti i suoi comodi servizi? Da Parma dicono che non è possibile. No. Quel complesso sistema di stili, tecnica, capacità e immaginario che va sotto il nome di Google si ridurrà e cambierà col tempo. Così almeno pensano gli autori, che confidano nella stanchezza ciclica che accompagna ogni successo, e su strumenti alternativi come le reti peer-to-peer, una più corretta informazione sui comportamenti del gigante, o ancora lo sviluppo di un motore di ricerca indipendente.

"Google è di fatto un monopolio", concludono, "e il suo modello di business funziona se tale rimane, ma è fragile. Non perché esistano attualmente dei validi sostituti, ma perché gli utenti possono essere informati, diventare più consapevoli e quindi scalfire quell'immaginario che fa di Google il non plus ultra, ma su cui si basa essenzialmente il suo successo".

Da Parma, Davide - alias la comunità Ippolita - ha lanciato quindi la sfida italiana a Golia dai piedi d'argilla. E se è vero che il movimento hacker è stato capace di anticipare le tendenze di qualche anno, allora, appuntamento al 2014, quando il sito www.broom.org, in una sua proiezione del prossimo decennio, ha pronosticato una battaglia in tribunale tra Google e il New York Times per il dominio dell'informazione, indicando però Google, alla faccia del libero mercato e delle libertà individuali, come vincitore. Assoluto.



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